L'Italia di Berlusconi by Indro Montanelli Mario Cervi
autore:Indro Montanelli, Mario Cervi
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 2012-02-03T05:00:00+00:00
CAPITOLO DODICESIMO
«ARRIVA LO STATO – UCCIDI
IL PENSIONATO»
Il governo Berlusconi era atteso – da molti con armi cariche e puntate – al passaggio critico della legge finanziaria per il 1995: legge tra i cui articoli si annidava la bomba pensionistica, ossia il progetto d’una riforma previdenziale che, per quanto ineluttabile, avrebbe inciso negativamente sui redditi di milioni d’italiani. La Finanziaria di Berlusconi s’ispirava a criteri di risanamento dei disastrati conti pubblici: sulla scia, lo si è accennato, di quanto avevano fatto, dopo decenni di sregolatezza amministrativa, Amato e Ciampi. Berlusconi annunciava anche un piano ambizioso, da abbinare a quello per il milione di nuovi posti di lavoro: ossia il raggiungimento d’un consistente «avanzo primario» nel bilancio dello Stato (in parole povere, un «attivo» qualora non si fosse tenuto conto dell’onere rappresentato dagli interessi sul debito pubblico) e d’una stabilizzazione del rapporto tra debito e prodotto interno lordo. A poco sarebbero servite comunque le ricorrenti e ben note manovre per tappare i buchi che via via s’andavano formando se non si fosse ovviato alla voragine pensionistica. Nei primi nove mesi del ’94 l’INPS aveva fatto registrare un deficit di quarantatremila miliardi: «in linea con le previsioni» si faceva notare al vertice dell’ente. Ma previsioni ulteriori portavano alla conclusione che, con le regole esistenti, nel 2005 ogni lavoratore avrebbe dovuto destinare la metà del suo salario o stipendio al mantenimento dei pensionati: restando incluse nell’altro cinquanta per cento le spese per il funzionamento dello Stato.
Non tanto destava allarme l’entità delle pensioni, che anzi erano in massima parte modeste, e a volte scandalosamente basse, quanto il loro numero e la loro durata. Dalle statistiche risultava che le pensioni di vecchiaia erogate dall’INPS erano 6 milioni e mezzo, e il 70 per cento non arrivava al milione mensile; le pensioni d’invalidità erano 4 milioni, e il 90 per cento stava al disotto del milione (ma si calcolava che nel totale degli invalidi ve ne fosse almeno un terzo di «falsi», con un’incidenza massiccia della frode in alcune regioni).
Come tutto ciò che in italia attiene al pubblico, il sistema pensionistico aveva per caratteristiche essenziali il disordine e i larghi varchi aperti al privilegio e agli abusi. L’età in cui si raggiunge la pensione è in italia minore che nella massima parte dei paesi «avanzati». Per di più è in vigore l’istituto del TFR (Trattamento di fine rapporto, alias liquidazione) sconosciuto o abolito altrove. In compenso le trattenute sulla busta paga erano e sono tra le più alte del mondo. Ma il maggiore e peggiore scandalo pensionistico stava nella disparità tra i dipendenti pubblici e i dipendenti privati. Essendo addetti all’elaborazione di norme su cui i governi e i parlamenti via via succedentisi passavano lo spolverino, gli alti papaveri ministeriali le avevano confezionate su misura per l’esercito burocratico. Cosicché si ebbero le pensioni-baby di insegnanti quarantenni, l’importo della pensione rispetto all’ultimo stipendio fu per gli statali particolarmente favorevole. Le misure più inique, bislacche e onerose passavano alla Camera e al Senato – spesso nelle commissioni – grazie
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